Carena ha decorato, con inserti di cielo, numerosi palazzi pubblici e privati.

Dai primi anni Sessanta si delinea un’apertura al nuovo  anche attraverso ricerche gestaltiche e tendenze oggettuali. Carena inizia a ‘racchiudere’, inscatolare in tubi di plexiglass e diversi le sue porzioni di cielo, che diventano oggettive al punto da trasferirsi in casa, non più per il tramite del quadro ma per porzioni di oggetti riprodotti.

Anni ’50. Protagonista dei quadri di Carena è una gamma informale inconsueta nella prospettiva italiana e nazionale, fatta di una stesura pittorica a luminosità diffusa e dinamica corrugata da sottili aggregazioni di sabbia.

Anni ’70.  Giochi di sfalsamenti di luce e ambiguità percettive di tipo ipnotico. Sulla superficie della tela, nella consueta misura quadrata di cm. 100 x 100, Carena visualizza mediante la pistola a spruzzo dell’aerografo un continuum di vibrazioni orizzontali luminose chiare e scure, sul cui fondo si intravede l’immagine del cielo.

Anni ’80-’90. La vibrazione e la trasparenza del cielo vengono aerografati su marquisette.

I primi “cieli” sono del 1958/59, non hanno nulla di azzurro o blu, ma progressivamente riducono gli elementi della materia per dare spazio allo spazio. Il cielo è rimasto per Carena l’opera d’arte assoluta fino agli ultimi anni della sua carriera artistica. Ha cambiato e sperimentato supporti diversi rimanendo sempre all’interno dello spazio specifico del supporto.

Dal 1971 inserisce nelle sue opere, precocemente rispetto al mondo dell’arte, le problematiche degli anni Settanta volte a privilegiare la componente mentale del quadro. Le Scritte anticipano la pittura graffitista; citano argomenti di ‘massa’ con sottile ironia; le lettere sono giocate su sfasamenti di tipo magnetico, la cui linea continua, eseguita con la velocità tipica dei graffiti urbani, si aggroviglia in nodi ondulanti e serpentini.

Dal 1963 circa nascono le opere con pezzi di carrozzerie o scocche prelevate da automobili che, dipinte alla nitrocellulosa, “riflettono” specularmente l’ambiente e le figure circostanti. Sono collocate talvolta all’interno dell’opera, oppure sono esse stesse supporto del suo intervento pittorico. Carena si colloca tra i primi artisti italiani che hanno lavorato sul prelievo di parti dell’oggetto desunto dall’ambiente urbano e industriale, mettendone a fuoco il dato specchiante.

Metà anni ’50. Sin dall’inizio Carena rifugge dall’uso di materie sconosciute, spettacolari, ingordamente ricercate da artisti suoi contemporanei e mette in luce la volontà di entrare in un mondo meno superficiale, fatto di paesaggi aridi, terra secca, resti di “tubi di scarico” che dimostrano la ricerca di un “non figurativo” che rimanda agli archetipi oscuri, al magma. Dunque alla tentazione di cedere ad un richiamo esterno ma di farlo scegliendo ‘presenze ambientali’ non confortanti.

Nel 1971, Carena entra in un momento di tipo concettuale, tendente al non intervento, all’azzeramento dei contenuti.  L’occasione è un happening per le strade della città, dove il quadro si trasforma in segnale primario privo di significazione, indefinibile e disorientante.

Del 1964 le prime Pellicole: quattro o cinque fotogrammi realizzati in lamiera nera dipinta a nitro speculare che ingigantiti moltiplicano le immagini riflesse, nello spazio circostante.

L’artista Antonio Carena è protagonista di un video, nato da un’idea del regista Willy Darko, che ne ha curato anche il montaggio e le riprese, intitolato “Oggi sereno”, nel quale si documenta una sua interessante performance: l’artista delle nuvole e dei cieli, intento a dipingere il corpo di una modella e a sua volta ripreso da una telecamera fissa.

500

La Fiat 500 «celeste» nel­l’atrio di Palazzo Grane­ri è ottimo viatico per l’antologia di Antonio Carena al Circolo degli Artisti, fino all’11 dicembre (catalogo Charta, a cura di Mirella Bandi­ni).